Gli aspetti psico-sociologici del coronavirus
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Tredici Marzo Duemilaventi. Oggi è il quarto giorno. Il quarto giorno di una lunga e triste storia che ha visto il nostro paese, l'Italia, correre al riparo dal dilagarsi di un virus, il Covid-19, meglio conosciuto come Coronavirus. É il quarto giorno in cui le strade appaiono deserte, i negozi sono chiusi, il caos cittadino ha lasciato spazio ad un silenzio pesante, in cui nell'aria si respira tristezza, incredulità, panico. Un silenzio vuoto, ma carico di preoccupazioni. E in uno scenario come questo, ossia di pandemia, nulla si diffonde più velocemente come la paura.
Tredici Marzo Duemilaventi.
Oggi è il quarto giorno. Il quarto giorno di una lunga e triste storia che ha visto il nostro paese, l'Italia, correre al riparo dal dilagarsi di un virus, il Covid-19, meglio conosciuto come Coronavirus.
É il quarto giorno in cui le strade appaiono deserte, i negozi sono chiusi, il caos cittadino ha lasciato spazio ad un silenzio pesante, in cui nell'aria si respira tristezza, incredulità, panico. Un silenzio vuoto, ma carico di preoccupazioni. E in uno scenario come questo, ossia di pandemia, nulla si diffonde più velocemente come la paura.
La visione di strade deserte, punti di ritrovo svuotati e saracinesche abbassate, abbinati ai continui bilanci di contagi e vittime offerti dai media alimentano e disegnano un'angoscia e un'isteria di massa che, se non controllata, potrebbe produrre molto più danni di quanti già non siano presenti.
Il presente articolo si pone pertanto l'obiettivo di delineare gli effetti psico-sociologici generati dalla presenza del Coronavirus.
Il Coronavirus o Covid-19 è una malattia causata da un nuovo ceppo di coronavirus. Esso prende il nome dalle punte che sporgono dalle sue superfici, assomigliando ad una corona.
Dal punto di vista sociologico, il modo in cui trattiamo e percepiamo il coronavirus è legato al modo in cui pensiamo la società e l'individuo. Questa modalità inconscia o socialmente veicolata ci espone al pericolo di adottare comportamenti sbagliati con la conseguenza che saremo meno efficaci nel contenere il virus.
Le ricerche effettuate nel campo della psicologia dell'emergenza, sostengono che quando le persone smettono di pensare in termini di “io” e iniziano a pensare in termini di un “noi”, cioè di un'identità sociale condivisa, iniziano a coordinarsi e si sostengono a vicenda nel tentativo di assicurare ai bisognosi il massimo aiuto.
A volte questo senso di identità condivisa emerge dal fatto stesso di sperimentare una minaccia comune. In questo scenario, ciò che occupa un posto di rilievo è sicuramente la messaggistica: quando una minaccia è inquadrata in termini di gruppo anziché individuali, la risposta del pubblico è solitamente più solida ed efficace.
Pertanto, cerchiamo di comprendere come meglio si può rispondere all'emergenza coronavirus dal punto di vista psico-sociologico.
Primariamente, invece di personalizzare il problema, dobbiamo provare a collettivizzarlo.
L'enfasi deve essere posta su come possiamo agire, in termini gruppali, per garantire agli individui più vulnerabili la maggiore protezione. Nel momento in cui il problema viene concettualizzato in questo modo, diventa importante per tutti lavarsi le mani, coprirsi naso e bocca nel momento in cui si tossisce o starnutisce, proprio in virtù delle implicazioni che questo comporta per gli altri e per noi stessi.
Inoltre, mentre potremmo avere il diritto di correre dei rischi per noi stessi, vige l'obbligo morale di evitare di imporre rischi agli altri. Sono queste le considerazioni di base che si pongono come potenti motivatori di azione. Nel momento in cui determinate azioni diventano questioni comuni soggette a norme collettive, la loro violazione provoca una pressione collettiva.
Tuttavia, il modo migliore per garantire un adeguamento comportamentale collettivo non è solo legato all'aumento della motivazione interna, ma anche di mobilitare la disapprovazione esterna. Solo procedendo in questo modo si può produrre una risposta collettiva al coronavirus, in quanto la migliore regolamentazione è sempre l'autoregolamentazione collettiva. Vediamo adesso più nel dettaglio, gli aspetti psicologici della paura connessi al fenomeno del Covid-19.
Il ruolo della paura e delle emozioni
La risposta al coronavirus, secondo lo psicologo David DeSteno, “è un mix di emozioni mal calibrate e conoscenze limitate. Poiché le notizie sulla diffusione del virus in Cina hanno alimentato le nostre paure, ci hanno reso non solo più preoccupati in merito al rischio di contrarlo, ma anche più suscettibili di abbracciare false affermazioni e atteggiamenti potenzialmente problematici, ostili o paurosi verso coloro che ci circondano. Affermazioni e atteggiamenti che a loro volta rafforzano la nostra paura e amplificano il ciclo”.
Innanzitutto, c'è quello che gli psicologi chiamano “euristica della disponibilità”, ossia la tendenza delle persone a orientare pesantemente i loro giudizi e opinioni su argomenti oggetto di informazioni più recenti. In sintesi, più è semplice ricordare le conseguenze di qualcosa, più queste conseguenze saranno percepite come maggiormente importanti, e in questo scenario il ruolo svolto dai media non aiuta a rompere il ciclo.
“Elicitare nelle persone uno stato di iper-vigilanza fa sì che qualsiasi informazione inerente al fenomeno tenda ad auto-alimentarsi in modo negativo, in quanto le persone notano di più, ascoltano di più, leggono di più e automaticamente interpretano gli eventi in modo più minaccioso”, spiega la Dottoressa Dorothy Frizelle, Psicologa Clinica e della Salute nel Regno Unito..
In uno scenario simile, le emozioni giocano inoltre un ruolo fondamentale. In generale, temiamo eventi catastrofici improbabili come gli attacchi terroristici più di eventi comuni e mortali, come l'influenza. Nel caso del Covid-19, la valutazione del rischio è particolarmente spinosa perché la nostra conoscenza oggettiva della malattia è ancora in evoluzione.
Gli esseri umani sono fisiologicamente predisposti a rispondere a diversi tipi di incertezza e imprevedibilità, poiché sono queste situazioni che ci fanno percepire una mancanza di controllo. Proteggerci quindi diventa difficile nel momento in cui il cervello entra in uno stato di allarme, e soprattutto quando la minaccia è cosi incerta e potenzialmente di vasta portata.
L'incertezza genera inoltre l'assorbimento di false informazioni che, nel mezzo di un'epidemia, possono “condurre a comportamenti che amplificano la trasmissione della malattia”, scrive l'epidemiologo Adam Kucharski nella rivista The Guardian.
Siamo particolarmente incapaci di individuare la disinformazione online, in parte perché non ci prendiamo il tempo, o non sappiamo come, verificare correttamente i dati. Ma è anche perché i nostri ricordi giocano dei brutti scherzi incoraggiandoci a credere alle cose che leggiamo ripetutamente, cercare informazioni che convalidino le nostre convinzioni preesistenti, e ricordare cose che suscitano forte emozioni più di quelle che non lo fanno.
Cosa possiamo fare per fronteggiare la paura da coronavirus?
Metin Başoğlu, Professore di Psichiatria e Fondatore del Centro per la Ricerca e la Terapia Comportamentale di Istanbul, ha studiato la risposta emotiva e comportamentale dei sopravvissuti al terremoto e ritiene che ci siano dei parallelismi nelle reazioni odierne al coronavirus.
Dopo un grave terremoto che ha colpito la Turchia nel 1999, lui e i suoi colleghi hanno sviluppato un metodo per far fronte allo stress post-traumatico. Gli esperti raccomandano di fare il possibile per riaffermare un senso di controllo sulle proprie paure, senza reagire in modo eccessivo rischiando così di contribuire al panico pubblico. Questo include anche una ricerca di informazione corretta, cioè proveniente da fonti attendibili. Sarebbe preferibile evitare troppa esposizione mediatica, in quanto può facilmente aumentare i livelli di ansia.
Un'epidemia in rapida diffusione può essere un momento particolarmente difficile per le persone con condizioni di salute mentale preesistenti come ansia o disturbo ossessivo-compulsivo. È quindi importante mantenere contatti e relazioni con quelle persone di cui ci si fida, che possono aiutare a placare il senso di ansia e panico.
Per la gestione dello stress si raccomanda primariamente di evitare troppa esposizione mediatica che crea clamore o si sofferma su cose che non possono essere controllate. È preferibile documentarsi su fonti che forniscono informazioni affidabili o che veicolano informazioni sui comportamenti corretti da utilizzare in questa specifica situazione.
Secondariamente, è fondamentale seguire un piano d'azione, ossia lavarsi spesso le mani, evitare contatti fisici ravvicinati, mantenere la distanza di un metro nel momento in cui ci si trova in luoghi pubblici e via dicendo. Riconoscere l'importanza di questi comportamenti può aiutare le persone a concentrarsi su tutti quegli aspetti che consentono di esercitare un controllo diretto e volontario.
È inoltre importante limitare il consumo dei media a un determinato lasso di tempo o un certo numero di articoli da leggere. Le giornate dovrebbero essere preferibilmente scandite da sane abitudini, come un'alimentazione equilibrata, un riposo sufficiente, praticare attività fisica o di rilassamento come la lettura o la visione di un film. Questo consente di prendersi cura di sé sia dal punto di vista fisico che psicologico.
Nel momento in cui si avverte un'eccessiva ansia, deflessione del tono dell'umore o forma di stress legata alla situazione di auto-isolamento generata dal coronavirus, è importante cercare un aiuto professionale. La figura di uno psicologo e/o psicoterapeuta può favorire una migliore gestione delle paure e al contempo a prendere le migliori decisioni per sé stessi e i propri cari.
È per questo motivo che Psichehelp Onlus ha attivato un servizio di consulenza psicologica gratuita via chat. I nostri psicologi saranno disponibili, attraverso un collegamento video, ad effettuare Consulenze in base alle richieste che ci perverranno via email o via Whatsapp.
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A cura della Dottoressa Giorgia Lauro
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